Mi piace il salto rapido di un buon racconto - Raymond Carver

lunedì 20 ottobre 2014

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Addestratori di conigli





Indubbiamente nasciamo con diverse ambizioni. Frederigo, ad esempio, amava ammaestrare conigli e ne aveva una colonia che allevava con tutta la cura possibile. Spendeva l'intera giornata dietro i loro capricci e quando non si trovava al capezzale di un cucciolo con la febbre correva a nutrire gli altri, a lavare l'anziano Gibby o a coccolare il più piccolo della famiglia. La colonia diventava con gli anni sempre più numerosa dal momento che Frederigo non riusciva a trattenersi dall'adottare conigli vagabondi ovunque si trovasse il circo. Li raccoglieva, li curava, li rimetteva in sesto e in capo a pochi giorni con sua grande soddisfazione era già riuscito a insegnar loro qualche semplice passo di danza o a saltare diligentemente dentro al cappello a cilindro.
Tutto andò per il meglio finché, una sera, un sultano arabo assisté allo spettacolo di Frederigo con tutta la famiglia. Lo spettacolo piacque tanto a sua figlia che la giovane principessa d'Oriente chiese al padre di regalare all'addestratore uno dei loro leoni bianchi: una splendida creatura dal manto color della neve, lo sguardo profondo e intelligente e dotato di una forza e di un coraggio straordinari. Quando Frederigo lo vide, ne rimase affascinato. Aveva sempre sognato un dono del genere ma, ora che il leone si trovava a pochi passi da lui, non osava avvicinarsi. Rimase a fissarlo per una settimana, dimenticandosi della sua colonia di conigli. Qualche volta osò accarezzarlo, ma il leone si scostava o gli ringhiava contro e Frederigo intuiva che addestrarlo sarebbe stata l'impresa più difficile della sua vita e che gli sarebbe costata molto tempo e fatica e un considerevole numero di ferite, probabilmente.
Comprese, infine, che avrebbe dovuto abbandonare i suoi conigli per abbracciare una sfida molto diversa da quelle precedenti. E Frederigo si spaventò. Gli mancò il coraggio necessario per inseguire un'ambizione troppo grande per lui. Frederigo riconsegnò il leone bianco alla principessa d'Oriente e allevò conigli per il resto della vita, fino a possederne diverse centinaia. Nasciamo con diverse ambizioni: alcuni addestrano conigli, altri un leone.

domenica 12 ottobre 2014

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Mirò e il cimitero di cavallette



La nostra nuova casa aveva un giardino, che era in realtà un corridoio d'erba tra l'ingresso e il marciapiede, troppo stretto perché dei bambini ci potessero correre e circondato da una rete metallica che lo divideva da quello dei vicini. Un pomeriggio, tornando da scuola, trovai Mirò accovacciata nel centro del giardino, con le unghie piene di terra. «Mirò, le chiesi, cosa fai?» 
E lei non rispose, ma scostando una foglia mi mostrò una buca nel terreno, in cui aveva sepolto una 
cavalletta. «Dorme.» 
«No, Mirò, non dorme: è morta.» 
«Morta?» 
Le spiegai la morte disegnando un albero su un foglio di carta, con un carboncino. «Vedi, la morte sono queste linee nere che delimitano la vita. Senza la morte, la vita si estenderebbe in tutte le direzioni e non sarebbe più un disegno.» 
Da quel giorno in avanti, il giardino si era riempito di piccoli cumuli di terra, le decine e decine di tombe dei piccoli animali di Mirò. Questa è l’immagine più nitida che mi rimane di Mirò da bambina: una graziosa imperatrice, dai capelli lisci coronati da un cerchietto azzurro, seduta in mezzo al suo cimitero di cavallette, che mi indica una per volta tutte le tombe e ne ricorda a memoria i nomi. Fino a che non smise di seppellire animali, evitai di invitare i miei amici a casa: senza comprenderla, avrebbero pensato che Mirò fosse semplicemente pazza. 

venerdì 3 ottobre 2014

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Una questione etica




Sono qui per parlare di Rossella Meccia, giusto? Allora non mettete in mezzo assurde questioni etiche. Se la conosco? Sì, ovvio, non bene quanto altri che avrete intervistato prima di me, ma la conosco. Dopotutto è una del paese, anche se abita in piena campagna, a cascina Teresa. Quel posto... Non vi aspetterete di trovare qualcosa lì, spero: è gigantesco e vi garantisco che, se qualcuno vuole nascondere qualcosa a Cascina Teresa, ce la farà sicuramente. Se poi la cosa da nascondere è di quel tipo...
Comunque, conosco Rossella abbastanza bene da aver notato la sua assenza, in Giugno. È una bella ragazza e a trent'anni, sapete, nessuno si è stupito del fatto che avesse deciso di star via per un po'. Non ho mai sospettato che fosse stata rapita dagli alieni.
Quando tornò era un po' strana, tutta dimagrita e non ci si riusciva a fare lunghi discorsi: sembrava sempre aver fretta di andare via.
No, non sospettai mai nulla di quello che stava tenendo in casa. Ho saputo tutto due settimane fa. Mi sembra così incredibile. Non solo vedere gli alieni, ma portarsi dietro quella cosa... Non sapevo nulla del... insomma, sì, grazie, alieno. Lo avete trovato ancora dentro la bolla di vetro, vero? Chissà che impressione.
Essendo sinceri, Rossella è una bella e brava ragazza, voleva avere una famiglia e una vita tranquilla e non sarebbe mai stato possibile se non avesse ucciso quella cosa. So che gli scienziati non glielo perdoneranno mai, ma è così.

domenica 23 marzo 2014

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L'ombra



Un uomo abitava a poche miglia da qui, in via Washington, a Milano. Lui lì era nato e cresciuto, da quando si ricordava, con la sua ombra che lo seguiva ovunque, fino a che, trovando entrambi la reciproca presenza oppressiva e troppo assidua, divorziarono e finalmente ognuno fu libero di andare per la propria strada.
Il protagonista della nostra storia, divenuto capo di una nota azienda, fece i soldi importando in Italia una bibita frizzante scozzese di colore arancione e dal gusto che ricordava vagamente l'antibiotico, che spopolava tra i ragazzi. Pensate la sua meraviglia quando scoprì che il suo più accanito rivale in affari non era altro che la sua ombra, emancipatasi e messasi in proprio. Trascorsero alcuni anni di dure lotte, a colpi di azzardate manovre pubblicitarie e promozioni natalizie, poi improvvisamente l'ombra scomparve. Ne parlarono i giornali, le emittenti televisive e sui forum si aprirono gruppi di discussione per vagliare tutte le ipotesi circa la sua possibile fine, nessuna più accreditata delle altre.
L'ex proprietario dell'ombra, perso a quarantacinque anni il nemico di una vita, fece l'unica cosa sensata che si potesse fare: affidò la gestione dell'azienda a sua moglie e si mise a cercarlo.


giovedì 13 marzo 2014

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Una tazza di tè fumante



La tazza di tè fumava ancora, abbandonata sul tavolo. Accanto, era poggiato il libro che leggevano prima di addormentarsi. Quando lo aveva sfogliato, era scivolata fuori la lettera in cui Lisa gli spiegava che se ne andava, perché lui aveva perso quella passione per la vita di cui Lisa aveva ancora bisogno.
Era difficile credere che fosse successo davvero. La tazza fumava ancora: perché aveva preparato un tè e lo aveva lasciato lì, se aveva deciso di andarsene per sempre?
Eppure, la parte di armadio di Lisa ora era vuota e in bagno era scomparsa la sua fila di smalti verdi e blu.
Ma lui non ci riusciva a credere. Sarebbe tornata: altrimenti non avrebbe lasciato il tè fumante sul tavolo.
Tre mesi dopo la vide in stazione salire sul regionale Milano-Genova, passando un trolley in mano a un uomo che rideva e le diceva che se fosse andata avanti così sarebbero arrivati a Natale. Quando lo vide Lisa abbozzò un saluto, poi la porta si chiuse dietro di lei e il treno partì.
Lui avrebbe voluto trattenerla ancora per un attimo, per darle l'occasione di tornare indietro. Adesso era ora di tornare a casa e sarebbe stato come se nulla fosse successo. Lisa voleva tornare indietro: altrimenti perché lasciare una tazza di tè ancora fumante?


mercoledì 12 marzo 2014

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Atena Parthenos



Atena osservava l'opera di Fidia stagliarsi in cima all'acropoli. La dea reggeva nella mano sinistra lo scudo, nella destra la lancia e in testa l'elmo, su cui si riflettevano gli ultimi raggi del sole. E così, gli Ateniesi le avevano dedicato il tempio più grandioso che si fosse mai visto. Non c'era nulla di simile in tutta la Grecia: neppure la statua di Zeus ad Olimpia, che ne era sorella, poteva eguagliarlo. Gli uomini lo avevano chiamato Partenone, perché lei era e sarebbe sempre stata Atena Parthenos, Atena vergine.
L'amore non era permesso alle dee guerriere. Eppure, sua sorella Artemide non aveva mai desiderato un uomo al suo fianco: le sue amazzoni erano le sole compagne di cui sentisse il bisogno. Atena, invece, aveva perso il conto degli anni passati a osservare il mare e con esso il suo eterno rivale, Poseidone. Il loro conflitto affondava le radici nelle lontane epoche micenee, ai tempi della guerra di Troia e del viaggio di Odisseo.
Dietro al conflitto, però, si era sempre celata una complicità, invisibile a tutti a parte ai duellanti, che Atena aveva sperato si potesse trasformare in amore. Che sciocca era stata! La Moira non lo avrebbe mai permesso, né Poseidone si sarebbe mai innamorato di una dea guerriera, dal carattere indomito e dalla determinazione inferiore solo alla forza. Il dio del mare non avrebbe mai amato chi lo aveva più volte sconfitto.
Il cuore di Atena era infranto, irrimediabilmente. E ora attendeva.
Dal Partenone si levò un grido lancinante e Medusa si precipitò fuori dal tempio, nuda, tentando di strapparsi dalla testa i serpenti che avevano improvvisamente sostituito i suoi bei capelli. Subito dopo, uscì il suo amante e la vide. Fu solo quando lesse l'orrore nello sguardo di Poseidone, che, finalmente, Atena sorrise.